Dalle polemiche prendo spesso le distanze. Imparato il principio secondo il quale “solo i cretini non cambiano idea” e “a lavare la testa all’asino si perde tempo e sapone”, ho compreso che chi ha l’ardire di sparare a raffica sentenze incocludenti e sciocche, giudicare sulla base del nulla e credere al sentito dire, difficilmente è aperto al dialogo e a rivedere le sue opinioni.
E’ recente la pubblicazione di un articolo pubblicato sul Corriere.it, che in poche righe, grossolanamente scritte puntando sulle parole chiave giuste (magari individuate dopo una superficiale visita su Google Trend) messe sbrigativamente insieme allo scopo di unire luoghi comuni, frasi fatte e convinzioni tipiche degli hater della meno seguita pagina Facebook, afferma che “le fashion blogger non mangiano davvero il cibo che fotografano”.
Potrei stare qui a domandarvi come, secondo voi, il Corriere.it seleziona i suoi contributor, se c’è un editor che filtra gli articoli e si prende la briga di valutare se un articoletto, o semplice didascalia per una gallery che punta ai click, sia più adatto ad una testata che dovrebbe essere fra quelle più autorevoli del nostro paese, alla nuova rivista diretta da Barbara D’Urso… ma a queste domanda mi son già risposta da sola e immagino che ognuno abbia un’opinione a riguardo. Qui invece voglio scrivere quella che non reputo un’opinione, non un punto di vista, tanto meno un pensiero soggettivo, ma una verità che mi sento di scrivere con lo stesso tono arrogante e saccente di chi ha pensato di aver scritto forse l’articolo dell’anno, degno dell’ambito premio Pulitzer, che è passato come una scoperta presa per oro colato, uno scandalo che fa un baffo alle ricerche di Roberto Saviano.
Cara giornalista e caro Corriere.it, se Saviano avesse scritto della camorra, svelando verità nascoste, facendo nomi e scoprendo altarini basandosi su un account Instagram e raccontando che tutti i napoletani sono camorristi, oggi altro che scorta, sarebbe solo uno sciocco ignorante a cui non è stato insegnato che generalizzare non è cosa giusta e magari finirebbe col tentare lo scoop scrivendo 12 superficiali righe senza riflettere troppo su chi va ad offendere, a sminuire o quali masse va a fomentare, per ottenere qualche migliaio di click i cui guadagni vanno comunque a finire nelle tasche dell’editore e non sue e non gli porteranno di certo una fama sufficiente nemmeno ad essere ospitata nel saloto di Bruno Vespa.
Qualcuno potrebbe storcere il naso perché ho tirato in ballo Saviano, uno che con i fashion blogger non ha nulla a che fare, che si occupa di cose molto più serie; ma il suo nome mi è venuto in mente pensando che uno come lui di certo non sarà arrivato dove è arrivato scrivendo idiozie nero su bianco, alle quali certi sciocchi credono con piacere, usando Google per tirare fuori qualche nome e 16 foto per una gallery, sperando di far girare il link sparando sulla croce rossa.
Sì perché purtroppo chi lavora sul web e si trova ormai scomodo rinchiuso dentro l’etichetta di “blogger” – termine per qualcuno diventato sinonimo di tuttofare senza arte nè parte – si trova di continuo a che fare con lettori, lettrici, hater, commentatori, profili fake e gente in generale che ha da ridire su una o più questioni riguardanti le persone che di un blog hanno fatto un mestiere e stupisce che in mezzo a tanta ignoranza – in senso buono e meno buono – ci si ritrovi a dover fare i conti persino con il Corriere.it, da cui ti aspetteresti un attimo di serietà, preparazione e rispetto in più.
Perché da una testata giornalistica e dai suoi collaboratori, ti aspetti un minimo di informazione e che sappiamo che scrivere “le fashion blogger non mangiano ciò che fotografano” è un’affermazione tanto offensiva quanto grave, che tocca una categoria intera sotto la quale si trovano migliaia di persone spesso accomunate unicamente dal nome con le quali vengono identificate, piuttosto che da quello che fanno realmente. Persone che lavorano, che scrivono, che hanno creato una professione dal nulla, che spesso non ha nulla a che fare con l’aspetto e l’apparenza, che nemmeno compaiono sui propri blog e che ogni giorno lavorano per affermarsi in un ambiente, il web, dove gente sciocca, superficiale e arrogante scrive idiozie camuffate da ironia e non li prende ancora sul serio. Ma mi riservo di credere che il criterio di scelta applicato per la validazione di certi contenuti sia proporzionata al rispetto e la stima data al web e a chi ci lavora, dimostrata da quelle 12 righe. Insomma carta bianca se si tratta di denigrare e sminuire un’intera categoria sulla versione digitale del Corriere, le scemotte di internet, le veline 2.o no?
E a riprova che “la mamma dei cretini è sempre incinta” chissà come mai da ieri i profili social di blogger d’ogni genere e categoria, riportano una serie infinta di commenti sotto foto a tema food, che tirano in ballo peso, diete, anoressia, bulimia e chi più ne ha più ne metta. Si ringrazia per aver fomentato le masse, il Corriere e chi per lui non ha pensato un attimo che certe parole potevano generare polemiche ma soprattutto influenzare migliaia di menti plasmabili, che oggi penseranno che basta privarsi di cibo, golosità, hamburger, patatine ecc… per essere belle, bellissime e fashion blogger. Insomma un chiaro incitamento ad un atteggiamento alimentare sbagliato e grave, fornito senza troppi giri di parole da una testata giornalistica. Applausi e inchini a profusione.
E alla giornalista che su Twitter ha dato prova di uno spirito paragonabile alle Avvilite più astiose della nota pagina Facebook, scrivendo “L’ira delle #fashionblogger contro il mio articolo su @Corriereit, mi preparo a una battaglia a borsettate Chanel” sfottendo apertamente e scritto taggando rigorosamente la testata a cui provare che l’articolo aveva sortito l’effetto desiderato, dico che probabilmente dovrebbe impiegare del tempo a documentarsi un po’ di più riguardo questa categoria, composta non (unicamente forse) da ragazzette con borsa Chanel e Louboutin ai piedi, ma da scrittrici, giornaliste e persone serie che scrivono, collaborano con aziende nazionali ed internaizonali, occupandosi dei contenuti dei loro blog, siti web, pagine social ufficiali, studiando insieme a loro progetti editoriali e molto, molto altro. Perché mentre visitava il profilo Instagram la cui ironia le è completamente sfuggita, il mondo andava avanti e generava giovani intraprendenti che si sono fatti da soli, mangiando donut, cupcake, macaron o ciò che vogliono, fotografandolo, instagrammandolo e addirittura mangiandolo, sì, divertendosi a faticare per affermarsi. Avrebbe evitato una simile caduta di stile.