Sono tre le parole fondamentali per descrivere un capo trovato in un mercatino, scovato in un charity shop, trovato sul fondo dell’armadio della mamma e acquistato su e-Bay a pochi euro: second hand (per parlare in termini più banali e più apprezzati il buon caro “seconda mano”), vecchio e vintage, termine rispolverato negli ultimi anni per ribattezzare quello che fino a tre,quattro anni fa avremmo ritenuto da buttar via o portare in chiesa per donarlo a chi ne ha bisogno.
Ebbene sì perchè un tempo era normale approfittare del cambio di stagione per buttar via vecchie giacche, gonne demodè, pantaloni dalle linee improponibili e scarpe dismesse e se la mamma ci diceva “ma dai quest’anno puoi tirare fuori quegli anfibi che non metti più” rispondevamo che ormai era uscito il nuovo modello e mai e poi mai avremmo messo qualcosa di vecchio, perchè solo l’idea ci faceva sentire delle poveracce, additate dalle compagne di classe come “quella che si fa passare i vestiti dalla cugina”. Oggi il termine vintage, abusato, rivisitato e snaturato, è diventato l’ancora di salvezza per chi un tempo avrebbe voluto indossare quel cappello della nonna o quella gonna che la mamma indossava in alcune foto quando ancora non conosceva papà, ma non ha osato, è diventato l’escamotage di chi piuttosto che correre a comprare occhiali da sole e accessori riproposti dal circolo vizioso della moda, fa economia e attinge dalla soffitta (o più probabilmente dal garage), ma anche il modo migliore di fare shopping per chi la moda la conosce, la ama, l’apprezza e preferisce acquistare un capo che porta con sè una storia e magari anche un valore, qualche volta raddoppiato o più. Nonchè il trucco preferito dalle griffe per rivalutare i vecchi pezzi delle proprie collezioni.
Perché quello che il fenomeno vintage ha portato con sé è fondamentalmente un’ignoranza diffusa sull’argomento, dove con “vintage” s’intende tutto ciò che è vecchio, perchè definirlo tale è più chic, mentre basterebbe pensare alla parola stessa che affonda le radici nel termine francese “vendenge, a sua volta derivante dalla parola latina vindēmia, indicante in senso generico i vini d’annata di pregio”, come afferma Wikipedia. Per cui se ragionando in termini di vino non ci si può aspettare che una bottiglia di qualche anno fa si possa ritenere d’annata, così come un Tavernello inscatolato negli anni sessanta non per la sua data sia da ritenersi di pregio, allora una gonna trovata nell’armadio di un parente non può essere di diritto definita vintage, specialmente se già al momento dell’acquisto (10, 20 o 30 anni prima), non era un pezzo valido.
Questo perchè, tornando a Wikipedia, “Gli oggetti definiti Vintage sono considerati oggetti di culto per differenti ragioni, tra le quali le qualità superiori con cui sono stati prodotti, se confrontati ad altre produzioni precedenti o successive dello stesso manufatto, o per ragioni legate a motivi di cultura o costume”, cosa che dovrebbe illuminare quanti credono d’aver fatto affari d’oro acquistando presunte borse Chanel (improvvisamente sbucate sotto forma di modelli che mademoiselle Coco nemmeno ricorda d’aver disegnato e neppure immaginato) o baguette Fendi che di vecchio hanno solo l’odore; sarebbe sufficiente fare un giro nei più rinomati negozi di vintage o in qualsiasi charity shop londinese per notare infatti che accaparrarsi una borsa, un portafogli o un foulard ad un prezzo irrisorio come 60 o 80 euro è una follia e che i prezzi sono ben più alti e qualche volta addirittura superiori a quelli degli accessori attualmente disponibili in boutique.
Il mio consiglio è quello di non farsi abbindolare dal termine vintage, di non convincersi d’aver fatto l’affare scovando una borsa Chanel su di una bancarella, perchè anche il rivenditore più inesperto conosce il valore di quello che vende e nessuno, neppure il babbo natale del second han, vi regalerebbe per qualche decina di euro una borsa griffata; piuttosto fotografate l’oggetto, documentatevi circa il modello, chiedete la data di produzione, recatevi in in monomarca a chiedere delucidazioni e allora sì, dopo esservi accertati d’aver trovato l’occasione imperdibile, aprite il portafogli. Per il resto è meglio definire “second hand” un capo tramandato da un parente o scovato in un mercatino, che vintage… io inizialmente facevo confusione, ma pian piano si impara e si evita di abusare dei termini e di farsi dilapidare il portafogli per mera ingenuità.