Facciamo un gioco, apri il tuo armadio e tira fuori 5 capi diversi per tipologia (un maglione, una camicia, un pantalone, una t-shirt…). Se sei fuori, al lavoro o all’università e non puoi farlo adesso, controlla l’etichetta più facile da raggiungere in ciò che indossi adesso (lateralmente all’interno del maglione, per esempio). Sai come leggere le etichette dei tuoi vestiti? Non in senso letterale, ma sai come interpretare l’etichetta di un capo d’abbigliamento? Te lo spiego in questo articolo.
Tutti i prodotti tessili presenti nel mercato dell’UE devono essere etichettati per legge e riportare la composizione delle fibre utilizzate e le etichette devono essere cucite saldamente sul capo. Insieme alla composizione dei tessuti, le etichette riportano istruzioni di lavaggio e asciugatura, informazioni sulla produzione e in qualche caso particolari certificazioni (a volte queste sono specificate su etichette a parte). Qui parliamo di composizione dei tessuti.
Come e perché si legge l’etichetta di un vestito?
Leggere l’etichetta di un capo è importante perché permette di sapere da quali fibre è composto il tessuto (ma anche i ricami, la fodera interna…), come prendersene cura e potenzialmente quanto quel capo è di qualità e durerà nel tempo e se ha un impatto particolarmente negativo sull’ambiente.
Qui faremo un discorso abbastanza generale, senza entrare troppo nel merito di argomento complessi come etica e sostenibilità (in modo superficiale possiamo dire che il poliestere è cattivo e il cotone è buono per l’ambiente, ma di certo il cotone non è esente da impatto ambientale e non tutto il cotone è uguale, lo stesso vale per lana e cashmere), non ho intenzione di confonderti e fare un discorso troppo ampio, quindi iniziamo dalle basi: il processo di produzione di fibre e tessuti prevede così tanti step che stabilirne in senso assoluto la sostenibilità è impossibile, uno stesso tessuto può essere più o meno sostenibile in base agli step che l’azienda che lo produce ha effettuato dalla fibra al prodotto finito. Ma in linea di massima si può imparare a riconoscere i tessuti naturali, quelli sintetici e quelli artificiali e capire cosa significano queste definizioni, quali sono “migliori” di altri, quali evitare e perché.
Per prima cosa ti interesserà sapere che l’etichetta di ogni capo d’abbigliamento riporta la composizione del tessuto in percentuali e queste percentuali sono elencate in ordine decrescente. Per esempio: 95% cashmere, 5% elastan indica che quel capo è uasi del tutto di cashmere ma contiene una piccola parte di elastam per avere un minimo di elasticità.
Le fibre naturali
Le fibre naturali sono quelle da preferire per i propri capi di abbigliamento, si dividono in fibre naturali di origine animale e di origine vegetale e nel processo di produzione non hanno bisogno di essere trasformate chimicamente in cellulosa (in questo si differenziano dalle fibre sintetiche), hanno quindi un minore impatto ambientale di altre. Le fibre naturali sono tendenzialmente più sostenibili, più etiche e salutari e hanno proprietà che le rendono eccellenti, sono per esempio: traspiranti, termoregolatrici, anti-microbiche… In un guardaroba estivo, per esempio, non dovrebbero mai mancare lino, cotone e seta, mentre in quello invernale la lana merino, lei cui fibre sono dotate di una “pratica lavatrice incorporata” ovvero la cheratina, che annienta i batteri responsabili dei cattivi odori e per questo aiuta la lana a non impregnarsi di cattivi odori e non dover essere lavata spesso (quindi durare più nel tempo).
Esempi di fibre naturali
Lana |
Cotone |
Cashmere |
Lino |
Alpaca |
Seta |
La differenza fra fibre sintetiche e fibre artificiali
Le fibre sintetiche sono prodotte in laboratorio utilizzando materiali derivati dal petrolio, mentre le fibre artificiali vengono sì create in laboratorio come quelle sintetiche, ma utilizzando materie prime di origine naturale. Non sono biodegradabili, hanno un grande impatto ambientale, l’acrilico per esempio ha un impatto incredibile in termini industriali perché richiede un uso massiccio di solventi chimici e tutto questo per ottenere capi che fanno rapidamente “pilling”, i famosi pallini, non tengono caldo e non assorbono l’umidità, facendo sudare. I tessuti sintetici su alcune persone causano irritazioni o reazioni allergiche. A volte le fibre sintetiche possono essere mixate a quelle artificiali per creare dei tessuti a costi ridotti o con determinate caratteristiche che i tessuti naturali non possono avere.
Esempi di fibre sintetiche
Acrilico |
Elastan |
Poliestere |
Nylon |
Neoprene |
Le fibre artificiali
Il processo di produzione di qualsiasi fibra artificiale parte generalmente dalla polpa di legno, ma la cellulosa viene poi trattata con varie sostanze chimiche e per questo, benché la materia iniziale sia d’origine naturale (alberi, piante, frutti…), la viscosa e altre fibre artificiali trattati in questo modo non sono considerabili sostenibili. La viscosa è però biodegradabile a differenza di tessuti sintetici che non lo sono, il suo impatto finale è tecnicamente meno grave sull’ambiente. Avendo una consistenza ed un aspetto molto simili alla seta, la viscosa viene spesso utilizzata in sostituzione a questo tessuto più costoso. Esistono viscose vegetali più ecologiche come il Lyocell e il Modal, sebbene non lo siano al 100% e siano migliori quando accompagnate da certificazioni.
Esempi di fibre artificiali
Viscosa |
Modal |
Lyocell |
Rayion |
Leggi le etichette ma ragionando, non essere integralista
Le fibre sintetiche non ci piacciono, ma in alcuni casi sono necessarie per rendere un capo d’abbigliamento performante. Se indossi un pantalone 100% cashmere è molto probabile che dopo esserti seduta per qualche ora, alzandoti noterai che sulle ginocchia e sul sedere il pantalone si è sformato, diventando antiestetico e sgradevole da indossare già dopo poche ore. Una piccola percentuale di elastan (una fibra sintetica di poliuretano, anche conosciuta come elastam, elastane, spandex…) nella composizione di quel capo (al contrario di una t-shirt o un maglione) lo rende elastico e quindi capace di tornare alla sua forma originale dopo averlo indossato (pensa ai legging sportivi, non si deformano). Questo vale anche per alcuni jeans, generalmente il denim di qualità è composto da un’alta percentuale di cotone ed una molto piccola di elastan, che aiuta il jeans ad essere aderente nei punti giusti e non sformarsi facilmente. Questo tessuto per la prima volta venne presentato al pubblico sotto forma di costume in Lycra nel 1964 e da allora è presente in moltissimi capi di abbigliamento. È utile perché performante, in questo caso specifico può evitare che quel capo deluda le aspettative del consumatore che lo ha acquistato e che questi decida di abbandonarlo sul fondo dell’armadio, rappresentando così spreco di materiale e denaro. Se quando acquistiamo un capo teniamo conto della sua performance, possiamo comprendere se è per noi necessaria la presenza o meno di una certa fibra nella sua composizione e decidere con coscienza se acquistarlo o meno. L’elastan non è di certo sempre necessario (la lana per esempio è per natura elastica) ma in alcuni casi aiuta la resa del capo.
Considerazioni finali
Conoscere le varie tipologie di fibre, capire quali sono naturali, sintetiche o artificiali, aiuta a capire che tessuti si stanno acquistando e a decidere se quel capo vale il prezzo che si spende, se durerà nel tempo, se è di qualità e avere un’idea del suo impatto sull’ambiente (al momento della produzione e quando smetteremo di usarlo e verrà smaltito). L’argomento è molto vasto e questo è un primo inizio, avere un minimo di informazioni è meglio che non averne affatto, no? Non c’è una regola da seguire, ci sono le proprie considerazioni; se ti interessa acquistare un capo capendone la qualità, se vuoi pagarlo il giusto prezzo o saper decidere fra un capo ed un altro leggendo l’etichetta, queste informazioni sono essenziali, anche se vuoi continuare a comprare fast fashion, anche Zara e H&M propongono capi in tessuti naturali. Fra un 100% poliestere e un 100% cotone c’è una bella differenza, anche nel fast fashion. Se vuoi spendere poco, puoi comunque spendere meglio, ma ancora più importante è prenderti cura dei capi che possiedi già, che hanno già avuto un impatto sull’ambiente (l’industria tessile è la seconda più inquinante al mondo dopo quella petrolifera) e che non gettando via puoi evitare di contribuire all’inquinamento. Spendere meglio significa anche non sprecare il denaro di ciò che hai già comprato, significa comprare meno. Hai davvero bisogno dell’ennesima maglia vista in vetrina mentre passeggi per noia il centro? Forse no.
Leggi anche: Perché il poliestere nei vestiti fa puzzare? E altre ragioni per evitarlo.
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