Era il 2000 quando ho avuto il mio primo computer, in ritardo per qualcuno lo so, ma prima usavo quello della sala di informatica alle medie per scrivere temi e tesine in Comic Sans e mi andava bene così. Poi ho chiesto un computer tutto mio, mio per dire, perché quando è arrivato l’ho dovuto dividere con mia sorella. Facevamo i turni per usarlo noi, iniziando da quando scattava l’orario dell’ADLS, dalle 18:30 in poi, perché non era mica flat l’abbonamento, non 24 ore su 24 ma a fascia oraria.
Da quando sentivamo quel suono inconfondibile del modem 56K, litigavamo perché io avevo gli amici che mi aspettavano in chat su C6 e Msn Messenger, e lei doveva inviare e-mail, navigare il web con SuperEva e non aveva alcuna intenzione di cedermi il posto un minuto prima di quel che mia madre avesse stabilito (anche se piangevo e urlavo perché Marco se n’era andato dalla chat e “non torna più” parafrasando la Pausini, sperando di generare compassione). E la notte mi svegliavo per la luce di quello schermo ingombrante e c’era Valentina che digitava sulla tastiera rumorosa, che somigliava ancora a quella del Commodore 64.
Ho aperto il primo blog un anno dopo, l’ho usato per raccontare chi ero, probabilmente solo a me stessa perché chi mai avrebbe dovuto leggerlo? L’ho cancellato poco tempo dopo. Ne ho creato un altro su non ricordo quale assurda piattaforma, anche lì ho raccontato di me, inserendo persino qualche foto di quando ero bambina, che avevo accuratamente passato allo scanner, perché mica avevo l’app JotNot sul tlefono. Ho cancellato anche quello, credo di averli provati tutti i servizi che ti davano la possibilità di creare un blog: ne leggevo sui giornali, “i diari su internet” li chiamavano e io, che per diario intendevo la Smemoranda dal peso specifico di 1,5kg e lo spessore che competeva con il dizionario di Latino, non potevo di certo resistere. Poi Msn ha dato la possibilità di creare un blog e da lì ho iniziato a “bloggare”.
Scrivevo di me, di quel che mi piaceva e di quello che mi faceva arrabbiare, pubblicavo foto che scattavo con la mia macchina fotografica digitale (perché all’epoca era importante specificarlo, quel “digitale”), che pubblicavo su Flickr e poi incollavo su Splinder, senza prima passare da nessuna app, applicare alcun filtro, figuriamoci Photoshop.
Sono passata a Splinder qualche tempo dopo (prima con accesso pubblico, poi su invito) ho creato un blog che potevo customizzare con qualche primitiva nozione di HTML, ho iniziato a creare banali grafiche con un programma che successivamente ho scoperto essere la versione povera e per dummies di Photoshop, ho googlato tutto il googlabile per imparare a fare da sola certe cose (che ancora oggi mi tornano utili), senza affidare il compito ad un assistenze-fidanzato-manager-agenzia. Ho conosciuto altre persone, consolidato rapporti, raccontato di me più di quanto abbia mai fatto sui social, con l’incoscienza di chi non sapeva cosa fosse un blog, forse perché non era quel che rappresenta oggi e non si credeva lo sarebbe mai stato.
Gestivo un Forum (esistono ancora?) 9 anni fa, si chiamava “My Wardrobe”, era un forum in cui vendere e scambiare abiti e accessori. Praticamente la versione “beta” di Depop. C’erano migliaia di iscritti, ragazze da tutta Italia che pubblicavano i loro annunci.
Su quel Forum c’era anche una sezione dedicata alla moda, dove alcune ragazze mi chiedevano consigli, dove avessi comprato quelle scarpe, quella borsa… Da quella sezione all’apertura di Trend and The City fu un attimo. Volevo uno spazio in cui scrivere le cose che scoprivo, che vedevo. Ho creato questo blog un pomeriggio del 2007, chiedendo a mia sorella se avesse un’idea su come chiamarlo, perché io ad inventare nomi non sono mai stata brava. Il primo che mi disse fu quello definitivo.
Dopo qualche mese lasciai il Forum nelle mani di un’admin che pensò che fosse una buona idea cancellare di sua iniziativa un Forum con migliaia di iscritti dal target specifico (donne di età compresa fra i 15 e i 20 anni interessate alla moda, un bottino sepolto negli abissi del web, insomma). Io intanto sul mio nuovo blog scrivevo di moda, di tendenze, di Paris Hilton, delle borse Balenciaga, delle collane Chanel di perle con la doppia C, delle t-shirt con le stampe che all’epoca non c’era “designer” che non vendesse on-line.
Era il tempo in cui Facebook iniziava a prendere piede, con qualche anno di ritardo rispetto al resto del mondo (come Snapchat oggi del resto), era il tempo in cui gli uffici stampa non ti rispondevano se non scrivevi per qualche testata, in cui se chiedevi ad un brand delle immagini per scrivere gratuitamente e senza alcuna pretesa un articolo sul tuo “blog”, ti snobbavano (oggi ho quotidianamente 500 e-mail da leggere e a volte rimpiango quel tempo). Poi venne il momento dei brand “visionari”, di quelli che guardavano avanti, delle testate giornalistiche che mi hanno dato una rubrica, dell’editore che mi ha commissionato il mio primo libro, poi il secondo, poi venne il terzo e le sfilate e gli eventi…
E venne il tempo del BLOG come lo intendiamo oggi, del blog su cui nessuno scrive più niente per niente, dove ogni post è pensato per attirare traffico, programmato in sincronia con le pubblicazioni social, monitorato attraverso Analytics, sottoposto ad analisi esportate su PDF da fornire insieme al media kit al pr che vuole proporlo al cliente per un’attività social per l’anno successivo perché “stiamo stabilendo il budget, ci piace molto come scrivi, mi ricordi quanti follower hai su Instagram?”.
Il tempo in cui “quanti” ha preso il posto di “come”, in cui i numeri hanno soffocato le parole, i like hanno spodestato i commenti, in cui lo spazio per le opinioni è occupato dalle emoji e alcuni non hanno voglia di leggere ma solo di guardare.
Ed io voglio tornare a bloggare, anche di me, di quello che penso, di chi sono, non solo di notizie, di nuove collezioni, di sfilate. Conservando più che posso quella genuinità che ho cercato in questi otto anni di mantenere anche qui, dove non ho smesso di scrivere quello che scopro navigando sul web, anche se oggi navigo con fibra ottica a 20MB e non devo aspettare il mio turno; voglio tornare a ad essere non “una blogger”, solo una professionista, un’influencer, una con “tot” di follower, ma una persona consapevole del valore del suo lavoro, ma sempre convinta che prima che blogger o influencer, a me piace scrivere e raccontare le cose. E i blog in fondo sono nati per questo, no?
Trovate tutti gli articoli di questo tipo nella sezione: Things I Think Today.
[foto ispirazionali via ABeautifulMess]