Si racconta che Facebook sia nato per consentire agli studenti del college di mettersi in contatto l’uno con l’altro e di ritrovarsi, anche dopo anni. Io so che è diventato un modo per conoscere, non solo nuove persone ma anche e soprattutto, quelle che si conosco già, perchè capisci molto di più da ciò che una persona condivide (o non condivide) che da quello che ti racconta di sè. So che alcune persone usano Facebook come la versione 2.0 delle riviste di gossip da parrucchiere, per spiare, indagare e sapere senza chiedere, quello soprattutto. Perchè c’era un tempo in cui per sapere qualcosa di qualcuno dovevi chiedere, se non al diretto interessato almeno ad un conoscente comune, rivelando così la tua morbosa curiosità. Oggi si può soddisfare la propria curiosità restando nell’ombra, continuando a seguire (spesso senza un “follow”).
So anche che Facebook non si limita al gossip ma è informazione, quella senza filtri, quella che ti arriva sotto gli occhi senza cercarla, rimediando così al gap dell’ignoranza. Non si deve necessariamente andare a comprare il quotidiano in edicola o ascoltare radio e tg per essere aggiornati, perchè le notizie fioccano sulle bacheche e sui profili Twitter e per fortuna restare ignoranti risulta sempre più difficile. So che c’è chi usa o social network per chiedere ascolto e spesso lo trova e so anche tutti i dubbi che questo genera.
Per esempio mi chiedo come sia giusto affrontare la questione Anna Laura Millacci e Massimo Di Cataldo. Lei è la sua compagna da 13 anni, lui – per chi non lo ricordasse – è un cantante italiano che ha avuto il suo successo qualche decennio fa e che personalmente credevo fosse sparito ma, a quanto pare, ritira ancora premi in qualche parte d’Italia. La notizia – per chi non se la fosse ancora trovata sotto il naso – riguarda lei che pubblica delle foto su Facebook raccontando che circa 20 giorni fa il compagno l’ha picchiata per l’ennesima volta provocandole, in questo episodio, un aborto. Alla notizia la donna allega delle foto che hanno fatto già il giro del web. Le reazioni sono le seguenti:
– Una gran parte della popolazione del social è indignata, schifata, arrabbiata con quel cantante demodè dai capelli lunghi, di cui ricordano vagamente il volto – salvo andarlo a googlare per l’occasione. Si riapre il doloroso tasto della violenza sulle donne, dei delitti cosiddetti “passionali” ma che di passione hanno ben poco e della storia che gli uomini fanno schifo. Una generalizzaizone che ogni volta mi fa rabbrividire insieme a quella paura che a furia di parlare di uomini che odiano le donne, si finisca con odiare gli uomini, tutti, anche quelli che in vita loro non hanno mai alzato un diato ad una donna, nemmeno per reagire ad uno schiaffo plateale. E mi vengono in mente le parole della mia collega Simona Melani che pensa “Agli uomini veri, che alzano le mani sono per dirti “ehi, sono qui” quando ti vedono arrivare da lontano”.
– Un’altra parte della popolazione digitale scatta sull’attenti e corre in soccorso di Massimo Di Cataldo e del beneficio del dubbio. Si legge “Quelle contusioni non sono abbastanza evidenti per essere vere” e ancora “Non c’è abbastanza sangue”, circa la foto del feto nel lavandino qualcuno sospetta “Potrebbe essere qualsiasi cosa e come l’ha tirato fuori dal water? – come se qualcuno riuscirebbe mai a tirare lo sciacquone, manco fosse un pesciolino”. Così si insinua il sospetto e la vicenda diventa un thriller impersonale di cui si vuole solo ottenere la soluzione. Se lei è davvero una vittima, mi chiedo quale sofferenza stia provando nel leggere i dubbi e le titubanze dei lettori davanti alla sua denuncia. Se lei è una millantatrice, mi chiedo quali altri sofferenze attende questo mondo, se esistono donne capaci di iscenare un’aggressione, forti del “trend” di questi anni, della violenza sulle donne. Si leggono dubbi e domande, accuse e insulti. Da un lato c’è chi si chiede come mai date le tante percosse la donna si sia decisa a parlare solo adesso e non si sia rivolta alla polizia. A quesa fetta di utenti mi rivolgo ricordandogli – a prescindere da quale sia la verità in questo caso – di quante milioni di donne vittime di violenza perdano addirittura la vita senza arrivare a parlare, perchè è facile sentienziare “Io non lo farei arrivare ad una seconda volta”, senza pensare a quelle donne che a causa di fragilità, passati difficili e chissà cons’altro, nascono e muoiono vittime. Quanto alle denunce voglio invece ricordare i migliaia di casi in cui donne vengono picchiate, minacciate e persino uccise da compagni, stalker e mariti, dopo aver sporto denunce inascoltate, che sempre più sconfortano le donne e fanno perdere fiducia nelle forze dell’ordine.
Si leggono anche le sentenze di chi invita a non giudicare solo da una foto, chi porta come esempio di sincerità le parole di Massimo di Cataldo che, pur essendo stato accusato di uno dei gesti più terribili al mondo, non è mancato alla consegna di un premio, dove ha approfittato del palco per dire d’essere basito, di amare ancora la compagna che ha lasciato e che forse per questo sta reagendo così o per chissà quale aspirazione (pur essendo sconvolto dall’accusa non perde l’occasione di infamarla fra le righe, accusandola di volere il suo attimo di celebrità). A questi signori vorrei dire che di uomini assassini o violenti che per giorni, mesi o anni hanno finto innocenza, amore, ingeuinità, ce ne sono stati tanti. Uomini che iscenavano ricerche disperate finchè la polizia non scopriva il corpo senza vita delle compagne che avevano provveduto a nascondere, che infamavano la memoria delle fidanzate dicendo che erano scappate con altri, con “quell’extracomunitario” e invece erano stati loro a nascondere il cellulare su un treno per agganciare la cella chissà dove, avvalorando la tesi della fuga.
Insomma Internet, Facebook, Twitter, sono mezzi moderni per cercare ascolto ma anche armi a doppio taglio, da utilizzare tanto per diffondere un grido d’aiuto, quanto per diffamare. E io, in attesa che la polizia indaghi e che la verità venga a galla, resto attonita e fisso lo schermo o la tv, cercando di capire, comunque stiano le cose nel caso di Anna Laura Milacci e Massimo di Cataldo, quando le donne saranno libere di lasciare i propri uomini senza essere picchiate, stalkerate e uccise, quando i giornalisti la finiranno di parlare di passione o follia momentanea, quando la polizia non avrà bisogno di vedere il cadavere per credere ad una vittima. Perchè purtroppo viviamo in un mondo in cui per essere vittime bisogna trovarsi sul pavimento di casa, in mezzo ad una strada o davanti al portone di un palazzo, stese in una pozza di sangue, senza un filo di vita in corpo, quando le nostre parole non hanno più suono, ma riecheggia l’eco dei “era una brava ragazza” e “non se l’aspettava nessuno” di parenti, vicini ed amici.