Parlare della propria infanzia genera un’inevitabile malinconia, nostalgia, mista ad un senso di distacco da ciò che eravamo, quasi fosse innaturale non sedersi più a quattro piedi sul pavimento montando veri e propri set per giocare con le Barbie, accatastando pile di lego o inscenando incidenti stradali con le macchinette, quelle che se le mettevi sotto l’acqua calda cambiavano colore. Quasi come se fosse una nostra scelta quella di non giocare più con le bolle di sapone, con gli aeroplani di carta o il ferro da stiro di plastica.
Posso dire d’essere cresciuta in compagnia delle Barbie, averle collezionate ma mai lasciate esposte, sempre vestite, svestite, rivestite e trasformate. Qualche volta ho tagliato loro i capelli, le ho truccate e persino mordicchiate. Le facevo sposare, divorziare, piangere e arrabbiare, costruivo intorno a loro un mondo parallelo che in fondo rispecchiava quello che vivevo io, non le dispensavo da piccole tragedie, incidenti di percorso: la tv, il cinema e persino la famiglia mi influenzavano a tal punto da far vivere alle mie Barbie quello che vedevo io, intorno a me. E anche loro influenzavano me. C’era Barbie buon compleanno, Disneyland, Barbie veterinaria, Barbie che parlava, che cambiava colore di capelli, Barbie hostess e tutti i mariti, amici e fidanzati, tutti i Ken con i capelli di plastica, con quelli veri, muscolosi, dalle parti intime ben celate perché non sia mai che tu scoprissi l’anatomia da un bambolotto. Ma non chiamiamoli bambolotti, in fondo ci hanno accompagnati lungo la nostra infanzia e per quel che mi riguarda quasi adolescenza considerato che ho messo di giocare con le Barbie in terza media; però non le ho mai dimenticate e tutt’oggi quando con mia sorella vedo un oggetto, un cuscino, una scatolina, un pezzo di stoffa, all’unisono esclamiamo “te l’immagini cosa facevamo con le Barbie…?”.
Credo che solo Barbie riesca ancora oggi a rappresentare un modello di riferimento per le bambine, che riesca a comunicare loro idee di un futuro ancora lontano ma che non è mai troppo presto immaginare, e sogni da realizzare crescendo. A sei, otto o dieci anni forse scelgono di essere astronauta, segretaria, modella, cantante, veterinaria, babysitter con le Barbie che adorano e collezionano e non è detto che crescendo restino della stessa idea, ma una cosa è certa: è da bambina che impari a sognare e, senza rendertene conto, scopri qual è il tuo futuro. Non la professione, non le scelte di vita, ma la tua personalità, e il video I can be, realizzato per celebrare Barbie, non fa che sottolinerarlo.
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